mercoledì 23 febbraio 2011

Angelo Beolco e Ruzzante

Il Ruzzante

Angelo Beolco detto Ruzzante o Ruzitalianoante (Padova o forse Pernumia1496? – Padova17 marzo 1542) è stato un drammaturgoattore e scrittore .
Figlio naturale del medico Giovan Francesco Beolco, professore presso la facoltà di medicina dell'Università di Padova, ebbe una lunga e proficua collaborazione con l'amico Alvise Cornaro, ricco proprietario terriero e letterato. Autore di numerosi trattati di architettura e di agraria, il Cornaro rappresenta un'importante figura di intellettuale proprio per il carattere "laico" del suo operato. Con l'intento di rappresentare alla corte dei cugini Marco e Franco, cardinali, la realtà del contado, commissionò a Ruzante le due orazioni. Quando conseguì il traguardo di amministratore del vescovato padovano, ridusse l'amico al ruolo di fattore, per poi tornare a rivalutarlo dopo che l'incarico gli era stato revocato.

L'immagine di Ruzzante, come ci dicono I critici, è variata nel tempo. Creduto autore "tutto istinto", come lo definì Lovarini, tra i suoi primi studiosi, oggi Ruzzante è unanimemente considerato autore "colto". Nei primi decenni successivi alla morte, e fin quasi alla fine del secolo, fu citatissimo. Il nome "Ruzzante" era peraltro diffuso (e lo è anche oggi) in un'area geografica che il Beolco frequentava: a Pernumia e dintorni. Quello di Ruzzante (contadino veneto) era il ruolo che Beolco stesso interpretava nella messa in scena delle sue commedie. Unica eccezione costituisce il Secondo Parlamento de Ruzzante - Bilora in cui interpretò il ruolo dello zio Pitaro.

Opere Per la cronologia delle sue opere, esistono differenti datazioni, una basata su criteri filologici, il cui più importante esponente è Ludovico Zorzi, curatore dell'unica omnia ruzantiana nei Millenni della Einaudi, ed una su una progressione semantica, rappresentata, ad esempio, da Giovanni Calendoli. Potremmo così riassumere:

Data
Opera
Note
Il codice in cui l'opera è conservata la riporta al 1518.
Datazione certa. È stata recitata nel giorno dell'Assunta
Forse recitata il 4 febbraio
Conservata da due codici. Alcuni studiosi la collocano tra La Pastoral e la Prima orazione.




Primo Dialogo de Ruzante (o Parlamento)


Esistono tre redazioni di quest'opera, di cui una del 1530-31 e una successiva al 1531 conservata dai codici.
Secondo Dialogo de Ruzante (o Bilora)










In realtà il 1537 more veneto






Resta da datare l'Anconitana, che Zorzi colloca tra il 1522 ed il 1526, mentre Calendoli la pone dopo il 1528.

martedì 22 febbraio 2011

Canto XI Paradiso: analisi, commento ed approfondimento della figura di S. Francesco

Il canto XI si svolge nel 4°cielo, quello del Sole, ove risiedono gli spiriti sapienti (teologi, filosofi) e luminosi che ballano,cantano e raggiano, disponendosi in cerchio intorno a Beatrice e Dante. Sia il canto XI che il XII sono rispettivamente dedicati a San Francesco (XI) e a San Domenico (XII) fondatori dei due tra i più importanti ordini monastici del medioevo. Nell’ XI canto, Dante offre una descrizione di San Francesco, (per bocca di S. Tommaso) precisando il luogo della sua nascita, le tappe fondamentali della sua biografia, lodando soprattutto la sua conversione e il “matrimonio” con “Madonna Povertà” . La lode a S. Francesco è offerta da un domenicano, San Tommaso d’Aquino mentre il riconoscimento a S. Domenico dal francescano, San Bonaventura da Bagnoregio. In questo caso, il poeta fiorentino fa riferimento a una consuetudine dell’Umbria del tempo: l’8 Agosto di San Domenico era consuetudine che un francescano celebrasse l’ordine domenicano, mentre il 4 Ottobre, nella ricorrenza di San Francesco, un domenicano in segno di reciproca stima fra i due ordini avrebbe dovuto lodare la congregazione francescana. All’interno del canto, compare un profondo ammonimento ai due ordini. Infatti, sia i francescani sia i domenicani si sono allontanati dai valori e dai principi cristiani propugnati dai loro fondatori. I domenicani attivi direttamente nello svolgimento dell’amministrazione pubblica si erano avvicinati troppo alla mondanità dimentichi della loro spiritualità e dell’integrità del loro ordine. Allo stesso modo, i francescani alla morte del loro maestro avevano mancato di armonia e comunione. Per questo il canto viene definito anche polemico. L’esortazione dunque è abbandonare qualsiasi aspirazione mondana e appellarsi alla moralità, recuperando il senso autentico della libertà e della dignità religiosa attraverso l’esaltazione dei padri della Chiesa. Entrambi i santi fondatori sono prescelti da Dante come exemplum di una Chiesa ideale, vocata all’umiltà spirituale e alla povertà materiale, polemizzando, quindi, contro la Chiesa del suo tempo. Di conseguenza, i canti nella loro interpretazione possono essere considerati come un’apologia della libertà che non è miseria e indigenza ma controllo delle proprie passioni e sereno dominio di se stessi per alimentare i bisogni più puri dell’anima. Infine, all’interno dell’ XI canto compare una digressione circa le scelte umane, secondo cui molti uomini si affannano alla ricerca della propria felicità non comprendendo la vera natura del mondo. La prima parte del canto, infatti, è dedicata all'invettiva contro la bramosia terrena: Dante rimane sdegnato davanti alla cupidigia, alla bassezza degli interessi mondani, alla superbia dell'uomo che cerca vanamente di dominare le cose terrene o si lascia andare all'ozio e ai piaceri della carne.


Descrizione di San Francesco
 La figura di San Francesco disegnata da Dante anche con un linguaggio duro, dal carattere eroico,cavalleresco. Un San Francesco dantesco combattivo, che non ha paura di andare davanti al Papa per far riconoscere il suo ordine.La descrizione di San Francesco inizia con un’ampia descrizione geografica, che individua l’esatto luogo di nascita del santo. Dante sottolinea che Ascesi, nome antico toscano di Assisi, non è sufficiente, perché il più adeguato è Oriente, data l’equivalenza tra Francesco e il Sole, che nascendo, e quindi sorgendo ad Assisi fa di essa l’Oriente. Tutto ciò è simbolo di virtù rinnovatrice e fecondatrice. Dopo l’introduzione, le terzine, dominate da una concezione cristiana che vede il Santo di Assisi come Alter Christus, ripercorrono il gesto decisivo di Francesco: la rinuncia ai propri beni sulla piazza della cittadina umbra. Egli sostiene una dura battaglia con il padre per seguire una donna da tutti disprezzata, e che, dalla morte di Cristo, era rimasta sola e non amata: la Povertà. Di fronte alla curia vescovile, dove proprio il padre l’aveva condotto per citarlo, Francesco rinuncia non solo ai suoi beni, ma anche agli abiti che indossa. E si “sposa” con la Povertà in mistiche nozze, e la loro vita prosegue con amore sempre più intenso. L’imitatio Christi è sottolineata dal linguaggio aspro utilizzato da Dante ed è confermata dal seguito di seguaci che l’azione di San Francesco ha sollecitato, così come era stato per Cristo, dal viaggio in Terrasanta e dalle stigmate, “ultimo sigillo”. L’amore tra Francesco e la sua mistica sposa è talmente coinvolgente da generare ammirazione, e in molti li seguono, scalzandosi, Dante descrive la potenza della dedizione di Francesco e la forza del coinvolgimento del suo operato sugli altri.Muore poi sulla nuda terra, raccomandando la Povertà ai suoi seguaci ed eredi. Il quadro della morte si accende della coralità tradizionale della legenda letteraria e pittorica: un ultimo squillo, intorno al tema della fedeltà amorosa (“e comandò che l’amassero a fede”), e il transito dal grembo della Povertà, nudo sulla nuda terra. Nella quiete della contemplazione della morte, ma rotta dal transito al cielo, tornando al suo regno, lo squarcio agiografico, forse il più bello delle letterature volgari, si chiude.Francesco è dunque la proposta fatta uomo, che Dante avanza per contrastare la corruzione contemporanea, che è soprattutto corruzione della Chiesa.Francesco viene assimilato ai Serafini, angeli dell’amore e della carità, mentre Domenico richiama i Cherubini, angeli della sapienza. San Francesco viene visto come Santo ma allo stesso tempo eroe e quindi dotato di sapientia/fortitudo. Pensiamo a Francesco che per tutta la vita persegue il riconoscimento ufficiale della sua regola. San Francesco sembra il perfetto imitatore del Cristo, portatore addirittura dei segni sanguinanti della crocifissione. Ma Dante ha innovato anche qui, prendendo la distanza dalla sensibilità del suo tempo. Le stimmate sono il segno di una diversità, non di una identificazione.Francesco si porta dietro tutta la sua umanità, tutte le sue fatiche, tutte le sue delusioni, tutto il suo peregrinare. Tutta la sua fragilità. Le stimmate sono il segno estremo di tale fragilità.