lunedì 11 aprile 2011

los siglos de oro

Los siglos de Oro siglo XVI (Renacimiento) XVII (Barroco)
Hablamos de siglos de oro porque està el descubrimiento de America que llega en España oro. Es el periodo de mas explendor españolo.


* movimiento ideologico, literario, artistico que nacio en Italia a fines de la Edad Media y despues se extendio a toda Europa
* el Renacimiento se llama asi porque es un periodo oscuro, la edad media.
* nacio tambien el Humanismo, movimento cultural que pone la persona al centro del mondo (vision antropocentrica). Hay una vision sin religion del la vida y los ombre dan mas import ancia a los placeres materilaes.



* empieza en el siglo XVI con la expansion por Europa y America durante el reinado de Carlos I (CarlosV emperador)
* hay un empobrecimiento de los nobles y el avanzamento de la burghesia
* crecimiento de la ciudades
* Nacen los picaros y los hidalgos empobrecidos



Poesia lirica en el Renacimiento (poesia religiosa y profana)
* En el siglo XIV hay un profunda renovacion de la lirica castellana.
* Se empiezan a introducir los metros y el estilo de la lirica italiana y eso favorece una corriente poetica de corte italianizante
* Se utilizan poemas y estrofas en verso endecasilabo como el soneto, la lira (composicion de 5 versos), las octavas reales (composicion de8versos)
* Los contenidos son renovados
* Esta la influencia de la antiguedad grecolatina en los temas de la naturaleza y de los mitos clasicos.
* Ademas, la influencia de Petrarca: en el amor, la fugacidad del tiempo y la necesidad de disfrutar de la juventud, el amor y el placer.
* Los principales representantes de latendencia italianizante son Garcilaso de la Vega y Fray Luis de Leon.
* Garcilaso de la Vega encarno el ideal renacentista del cortesano, hombre de letras y de armas. Escribiò las Eglogas, composiciones poeticas dialogadas donde unos pastores hablan de sus amores disdichados, ademas escribiò Sonetos que cantan a la belleza feminina y exhortan a gozar de la juventud antes de la llegada de la vejez. (aqui de la Vega sigue el carpe diem de Horacio que dice vivir cada istnte de la vida como se fue el ultimo). Su estilo se caracteriza por la naturalidad, elegancia y la musicalidad armoniosa y suave.

* Fray Luis de Leon es un fraile agustino catedratico de la Universidad de Salamanca, supo conjugar el espiritu renacentista y una honda de religiosidad. Escribio en prosa y en verso pero es importantne sobretodo por su obra lirica. El tema central es la union con Dios. En la Vida retirada aparece la naturaleza como el lugar donde el alma busca la union con lo infinito. En noche serena està la contemplacion de una noche estrellada que lleva al porta a la añoranza de lo divino. En Oda a Francisco Salinas la musica de su compañero de la universidad consigue elvar el alma hasta el cielo. El estilo de Fray Luis es claro y armonioso.

En la segunda mitad del siglo XVI, durante el reinado de Felipe II (hijo de CarloV) està la Reforma Protestante y la Contrarreforma catolica

en España hay un periodo de espiritualismo y exaltacion religiosa



* Santa Teresa de Jesus analiza la experieca mistica con un estilo llano y sencillo, utiliza imagenes cotidianas para hacer comprender sus experiencias espirituales y escribio para ayudar a las monjas carmelitanas en su camino de perfeccion cristiana. Compuso poesias pero sus obras mas importantes son tratado de prosa mistica: El castillo interior o Las moradas donde describe el alma como un castillo dividido en moradas en cuyo centro tiene lugar la union con Dios.
* San Juan de la Cruz compuso una obra poetica exclusivamente religiosa y su unico objetivo era comunicarse con Dios a traves de ella. Escribio en prosa y en versos con metros traicionales. Escribio composiciones en liras mas importantes: Catico Espiritual, Noche oscura del alma llama de amor viva, utiliza la alegoria de la esposa que busca a su amado para describir el camino que lleva a la perfeccion espiritual y la union mistica.
Su estilo es lleno de simbolos y paradojas.

La prosa en el Renacimiento
* El genero de prosa mas importantes es la prosa de ficcion, pero ademas se ecribieron obras historicas y religiosas como los tratados de prosa mistica.
* Sobreviven la novela de caballerias y la novela sentimental del siglo XV, pero hay modalidades nuevas que favorece la lectura de novelas como pasatiempo.
* Hay novela pastoril que imita la novela italiana Arcadia de Sannazaro, donde se habla de los amores mas o menos afortunados de unos pastores. La primera novela pastoril española es La Diana de Jorge de Mantemayor.
* Hay ademas la novela griega o bizantina donde se cuenta un viaje que finalizarà la union de los jovenes enamorados, por ejemplo Persiles y Segismunda de Cervantes .
* Hay novela morisca donde se relata una historia de amor, los personajs son arabes y hay la vision noble y caballeresca del moro. Ejemplo: Historia del Abencerraje y la hermosa Jarifa
* Hay novela picaresca donde se cuenta autobiograficamente la vida de un picaro con un final antiheroico. El primer ejemplo de este genero es el Lazarillo de Tormes.

lunedì 14 marzo 2011

Trama ed Analisi del Saul (Alfieri)

SAUL

L’Alfieri sembra muoversi all’interno di un circolo vizioso e, come già avveniva nei trattati politici, l’alternativa tra tirannicidio e suicidio si rivela fittizia. L’eroe e il tiranno sono figure solo apparentemente antitetiche, sono due facce di una stessa personalità. Esse incarnano l’eterno conflitto tra il bene e il male, la lacerazione psicologica, la doppiezza degli istinti che convivono in un solo uomo. L’eroe suicida non è molto diverso da chi, nel sopprimere il tiranno, uccide “l’altra parte di sé”. nelle ultime tragedie i personaggi non protagonisti assolvono una funzione ormai marginale e tendono a sfumare, quasi a scomparire rispetto all’“un solo”, preda e vittima della propria inquietudine, travolto dal processo fatale e irreversibile che lo condurrà alla distruzione o, più spesso, all’autodistruzione.
Tale aspetto si nota benissimo nelle tragedie maggiori, il Saul e la Mirra, che a ragione possono essere definite “tragedie psicologiche”. In ambedue il protagonista è unico, un personaggio “appassionato di due passioni tra loro contrarie”, che “a vicenda vuole e disvuole una cosa stessa”. Questo conflitto di sentimenti determina la crisi di re Saul, lacerato tra la superbia e il senso di colpa verso il genero David, tra la brama di dominio, non ancora spenta, e il profondo affetto paterno. Saul è consapevole della propria iniquità nel perseguitare David, ma è incapace di porvi rimedio, perché in David, che Dio ha destinato a succedergli sul trono, egli, già vecchio, vede il trionfo della giovinezza e della forza che la natura stessa gli impedisce ormai di avere.
L’Alfieri sottolinea vigorosamente lo scontro tra l’aspirazione dell’individuo ad affermare se stesso attraverso un eroismo sovrumano e la consapevolezza dei limiti imposti dalla fragilità umana. Dalla contraddizione emerge un senso profondo di pessimismo, una tendenza a ripiegarsi, a indagare dentro di sé e, infine, quasi una forma d’incapacità di vivere, che spinge a cercare la liberazione nella morte.
Le tragedie alfieriane riprendono il modello classico e rispettano le unità aristoteliche di tempo, luogo e azione, ma l’esigenza piú forte dell’autore è quella di giungere a un massimo di chiarezza ed essenzialità. Il suo scopo mira infatti a lasciar emergere il nucleo tragico, che deve coinvolgere il pubblico eliminando ogni possibile distrazione.

TRAMA

Il primo atto mette subito in scena David impegnato in un monologo. Egli svela ad apertura di sipario di essere perseguitato da Saul, fomentato dal perfido Amner, nonostante il suo valore e nonostante il legame di parentela che lo lega al re, avendone sposato la figlia, Micol. Lo rincuora l’amico Gionata, che lo informa d’altra parte del pericolo in cui versa Israele, sotto la minaccia dai Filistei. Anche il secondo atto introduce subito un monologo, quello di Saul, stavolta, che ricorda i tempi felici della sua giovinezza, e si sofferma aspramente sull’"empio spirito", l’oscuro sconvolgimento psicologico, che lo ha portato all’odio verso David, un tempo suo amico carissimo. Con il terzo atto, dopo un apparente momento di tregua delle passioni, Saul si scaglia di nuovo contro David, accusandolo ingiustamente di aver rubato la spada di Golia, conservata nel tabernacolo di Nob. David lo placa con il suo canto, espresso in un ampio polimetro. Il IV atto vede di nuovo al centro dell’attenzione Saul, da un lato sconvolto dal sentimento di odio misto a stima per David, dall’altro per la lucida e impietosa consapevolezza di come David sia in mano alle mire e ai disegni della classe sacerdotale che vuole distruggere la sua stirpe dinastica. Fa così uccidere il sacerdote Achimelech, accusandolo di aver aiutato David. Nell’atto V, infine, viene mostrato un personaggio sconvolto dai suoi impeti più oscuri ed incontrollabili. La situazione peraltro è ormai giunta ad un altissimo livello drammatico, e con essa l’azione, al suo culmine, in seguito all’avvicinarsi dei Filistei, che hanno decimato l’esercito di Israele. Saul non sente più alcuna speranza di risoluzione. È proprio quest’ultima che però lo porta a risolvere le più profonde ambivalenze del suo io, permettendogli di riacquistare così la sua dignità di padre e di re, tramite la morte. Al centro della tragedia, il protagonista, sovrano assoluto non più così certo né convinto della sua onnipotenza, suggerisce una delle questioni politiche più attuali nell’Europa di fine Settecento ormai alle soglie della rivoluzione francese: quella dell’ereditarietà del potere. Il problema, fulcro degli stessi modelli tragici classici, dopo aver attraversato tutta la modernità, con il culmine dell’Amleto di Shakespeare, giunge ad Alfieri, che lo sottopone a giudizio generale, in tutta la sua drammaticità. I protagonisti delle opere precedenti si trasformano: Alfieri non mette più in scena figure che incarnano individualmente caratteri unici, visibili dal contrasto dei personaggi stessi, ma anzi rappresenta la battaglia psicologica all’interno di un unico personaggio, denso di chiaroscuri, sfumature; eroico nella sua immensa forza, ma reale, quasi "borghese", nella sua contraddittorietà.
Alfieri giunge con il Saul alla consapevolezza della reale miseria della condizione umana, che è ben rappresentata dal sovrano orgoglioso che scopre la sua intima debolezza, e non ha la forza di opporvisi attivamente perché non ha nessuno contro cui lottare, in quanto il disagio è interiore, tanto che va incontro deliberatamente alla morte, unica forma di liberazione dal suo tormento.
Al profondo disagio interiore che caratterizza la figura del re Saul e, più in generale, l’intera tragedia, corrisponde uno stile altrettanto contraddittorio, caratterizzato dall’alternarsi di lunghi monologhi e battute estremamente brevi, talvolta addirittura monosillabiche (Atto quarto - scena II); questa alternanza esprime in modo estremamente efficace il conflitto interiore del re, che si trova solo a combattere contro la propria individualità.
Continue sono le variazioni di ritmo, le pause, le fratture presenti all’interno dei versi, le inversioni e gli enjambement.

SAUL: è figlio di Kis e Re di Israele, un tempo grande condottiero ora è un uomo roso dalla gelosia per il successo di David e sospettoso nei confronti di tutti (anche dei figli). Il secondo atto introduce subito un monologo, quello di Saul, che ricorda i tempi felici della sua giovinezza, e si sofferma aspramente sull’"empio spirito", l’oscuro sconvolgimento psicologico, che lo ha portato all’odio verso David, un tempo suo amico carissimo. Infatti Saul guarda con amarezza allo scarto tra il suo glorioso passato di giovane coraggioso e il suo squallido presente di vecchio e folle monarca. Il declino della sua potenza bellica, la consapevolezza dell’ormai assente aiuto di Dio, la vecchiaia alle porte sono per Saul un peso troppo forte e sarà questo peso che lo farà impazzire trascinandolo in un turbine di follia che risulta evidente nei suoi rapporti con David. Il suo obiettivo è quello di riacquistare la grandezza perduta, stroncare qualsiasi cospirazione e mantenere il potere a qualunque costo.
Saul non ha in tutta la tragedia un’antagonista della sua dimensione psicologica o, piuttosto, lo ha in se stesso: egli è, cioè, insieme eroe e tiranno di se medesimo e unisce e fonde nella sua complessa interiorità slanci ed entusiasmi eroici, di un lontano e superstite eroismo, e ombrosità, suscettibilità e malvagità tiranniche. Pertanto quel dissidio tra l’eroe e il tiranno che si rivela così frequentemente nelle altre tragedie, è qui, come nella Mirra, del tutto interiorizzato. Saul è solo perché il vero conflitto lo impegna con se stesso; e la sua solitudine potenzia l’umanità o, meglio, la naturale tragicità del personaggio.
Saul è il tirannicida. Questa affermazione è apparentemente contraddittoria, in quanto Saul stesso diventa in seguito alla sua follia un terribile tiranno. La figura del tiranno come la intendeva Alfieri è l’immagine riflessa della follia di Saul, un uomo disperso nella sua follia e nella sua paura che sfocia nella tirannia. Saul capisce di avere un unico modo per liberarsi dalla tirannia che c’è in lui: la scelta finale. Scelta che compierà alla fine della tragedia come ultimo disperato gesto di umanità e come unico mezzo per preservare quel poco della sua regalità che gli è rimasta. Saul uccide se stesso rifiutando in questo modo quello che lui era irrimediabilmente diventato: l’espressione della tirannide. In una specie di “muoia Sansone con tutti i filistei” Saul si toglie la vita, liberandosi dalla sua follia e dalla sua consapevolezza di essere pazzo, rimettendosi forse, alla pietà di Dio. Saul, uccidendo se stesso, rinnega e uccide anche la tirannide che lo possiede.
Saul è ormai un uomo accecato dalla sua stessa follia e, quel che è peggio, è che nel temporale furioso delle sue sensazioni sconvolte, lampi di lucidità lo illuminano sulla sua tremenda condizione di pazzo. Non credo che per un uomo ci possa essere niente di peggio che impazzire e rendersene conto al tempo stesso. Saul è ormai un ciclone di sentimenti contrastanti, è dilaniato dalla battaglia tra la sua follia e la sua saviezza. In questa tremenda lotta, Saul sperimenta la solitudine dell’incertezza totale dei suoi giudizi, capisce di non fidarsi ormai più di nessuno. Dirà “Di me soltanto, di me solo io non tremo...” ma si sta sbagliando. Il terrore, la paura degli altri deriva proprio dal fatto che egli non riesce più a fidarsi di se stesso. Per questo Saul diventa timoroso di tutto e di tutti: avendo perso la capacità di scindere anche nella forma più grossolana il bene dal male, egli è ormai un uomo in balia dei nemici e senza la difesa di nessun amico sicuro. Il dramma deve essere stato grande e può aver trovato la sua fine solo nella tragica e folle fine di Saul.
David: è figlio di Iesse, uomo d'armi, è convinto che Israele abbia bisogno di una guida forte e sicura, ama profondamente sua moglie Micol ed ha un enorme rispetto per Dio e per i suoi sacerdoti. Proprio per questo suo rispetto, il suo rapporto con Achimelec, anziano capo dei sacerdoti d'Israele, è molto saldo. Quest’ultimo considera David come il legittimo successore di Saul a re di Israele seguendo le indicazioni del Signore date tramite il profeta Samuele. Quindi tenta di far diventare David re al posto di Saul e proteggere la casta dei sacerdoti dalle ire di quest'ultimo. Del suo personaggio emergono le doti forza interiore e fisica , di amore per la patria e di affetto verso ciò che ama , come per esempio la dolce Micol , dalla quale è sempre stato dolorosamente allontanato.
MICOL: E' la figlia minore di Saul e moglie di David. Proprio per questo è straziata dall'amore per il marito e dall'affetto che prova per il padre. Questi due sentimenti sono di pari intensità. Farà di tutto per proteggere il suo sposo, ma ugualmente si comporterà con Saul. Il suo obiettivo è quello di cercare di riconciliare Saul e David.
GIONATA: E' uno dei figli di Saul. Grande amico di David, rispettoso della religione, ubbidirà sempre al padre tranne quando questo gli chiederà di compiere atti contrari alla sua morale. Anche il suo obiettivo è quello di far desistere il padre dall'odio contro David e riconciliare i due.
ABNER: è figlio di Ner. Generale dell'esercito d'Israele, braccio destro di Saul (è figlio del cugino), nutre un profondo odio per la casta sacerdotale e per David che ritiene essere lo strumento dei sacerdoti per guidare il potere politico. Data la sua posizione difficilmente può agire di persona, ma cerca di assecondare tutte le manie di persecuzione del re Saul. Il suo obiettivo è quello di eliminare dalla scena David ed i sacerdoti (anche fisicamente se necessario). E’ il consigliere di Saul. Egli pare voglia aiutare il re, invece intende soltanto agire sulla sua volontà per poter manipolarlo secondo i suoi scopi le sue intenzioni, cioè giungere al potere e cacciare l'odiato David. Abner riesce a realizzare i suoi obiettivi per mezzo di atti di falsità e menzogna.

mercoledì 23 febbraio 2011

Angelo Beolco e Ruzzante

Il Ruzzante

Angelo Beolco detto Ruzzante o Ruzitalianoante (Padova o forse Pernumia1496? – Padova17 marzo 1542) è stato un drammaturgoattore e scrittore .
Figlio naturale del medico Giovan Francesco Beolco, professore presso la facoltà di medicina dell'Università di Padova, ebbe una lunga e proficua collaborazione con l'amico Alvise Cornaro, ricco proprietario terriero e letterato. Autore di numerosi trattati di architettura e di agraria, il Cornaro rappresenta un'importante figura di intellettuale proprio per il carattere "laico" del suo operato. Con l'intento di rappresentare alla corte dei cugini Marco e Franco, cardinali, la realtà del contado, commissionò a Ruzante le due orazioni. Quando conseguì il traguardo di amministratore del vescovato padovano, ridusse l'amico al ruolo di fattore, per poi tornare a rivalutarlo dopo che l'incarico gli era stato revocato.

L'immagine di Ruzzante, come ci dicono I critici, è variata nel tempo. Creduto autore "tutto istinto", come lo definì Lovarini, tra i suoi primi studiosi, oggi Ruzzante è unanimemente considerato autore "colto". Nei primi decenni successivi alla morte, e fin quasi alla fine del secolo, fu citatissimo. Il nome "Ruzzante" era peraltro diffuso (e lo è anche oggi) in un'area geografica che il Beolco frequentava: a Pernumia e dintorni. Quello di Ruzzante (contadino veneto) era il ruolo che Beolco stesso interpretava nella messa in scena delle sue commedie. Unica eccezione costituisce il Secondo Parlamento de Ruzzante - Bilora in cui interpretò il ruolo dello zio Pitaro.

Opere Per la cronologia delle sue opere, esistono differenti datazioni, una basata su criteri filologici, il cui più importante esponente è Ludovico Zorzi, curatore dell'unica omnia ruzantiana nei Millenni della Einaudi, ed una su una progressione semantica, rappresentata, ad esempio, da Giovanni Calendoli. Potremmo così riassumere:

Data
Opera
Note
Il codice in cui l'opera è conservata la riporta al 1518.
Datazione certa. È stata recitata nel giorno dell'Assunta
Forse recitata il 4 febbraio
Conservata da due codici. Alcuni studiosi la collocano tra La Pastoral e la Prima orazione.




Primo Dialogo de Ruzante (o Parlamento)


Esistono tre redazioni di quest'opera, di cui una del 1530-31 e una successiva al 1531 conservata dai codici.
Secondo Dialogo de Ruzante (o Bilora)










In realtà il 1537 more veneto






Resta da datare l'Anconitana, che Zorzi colloca tra il 1522 ed il 1526, mentre Calendoli la pone dopo il 1528.

martedì 22 febbraio 2011

Canto XI Paradiso: analisi, commento ed approfondimento della figura di S. Francesco

Il canto XI si svolge nel 4°cielo, quello del Sole, ove risiedono gli spiriti sapienti (teologi, filosofi) e luminosi che ballano,cantano e raggiano, disponendosi in cerchio intorno a Beatrice e Dante. Sia il canto XI che il XII sono rispettivamente dedicati a San Francesco (XI) e a San Domenico (XII) fondatori dei due tra i più importanti ordini monastici del medioevo. Nell’ XI canto, Dante offre una descrizione di San Francesco, (per bocca di S. Tommaso) precisando il luogo della sua nascita, le tappe fondamentali della sua biografia, lodando soprattutto la sua conversione e il “matrimonio” con “Madonna Povertà” . La lode a S. Francesco è offerta da un domenicano, San Tommaso d’Aquino mentre il riconoscimento a S. Domenico dal francescano, San Bonaventura da Bagnoregio. In questo caso, il poeta fiorentino fa riferimento a una consuetudine dell’Umbria del tempo: l’8 Agosto di San Domenico era consuetudine che un francescano celebrasse l’ordine domenicano, mentre il 4 Ottobre, nella ricorrenza di San Francesco, un domenicano in segno di reciproca stima fra i due ordini avrebbe dovuto lodare la congregazione francescana. All’interno del canto, compare un profondo ammonimento ai due ordini. Infatti, sia i francescani sia i domenicani si sono allontanati dai valori e dai principi cristiani propugnati dai loro fondatori. I domenicani attivi direttamente nello svolgimento dell’amministrazione pubblica si erano avvicinati troppo alla mondanità dimentichi della loro spiritualità e dell’integrità del loro ordine. Allo stesso modo, i francescani alla morte del loro maestro avevano mancato di armonia e comunione. Per questo il canto viene definito anche polemico. L’esortazione dunque è abbandonare qualsiasi aspirazione mondana e appellarsi alla moralità, recuperando il senso autentico della libertà e della dignità religiosa attraverso l’esaltazione dei padri della Chiesa. Entrambi i santi fondatori sono prescelti da Dante come exemplum di una Chiesa ideale, vocata all’umiltà spirituale e alla povertà materiale, polemizzando, quindi, contro la Chiesa del suo tempo. Di conseguenza, i canti nella loro interpretazione possono essere considerati come un’apologia della libertà che non è miseria e indigenza ma controllo delle proprie passioni e sereno dominio di se stessi per alimentare i bisogni più puri dell’anima. Infine, all’interno dell’ XI canto compare una digressione circa le scelte umane, secondo cui molti uomini si affannano alla ricerca della propria felicità non comprendendo la vera natura del mondo. La prima parte del canto, infatti, è dedicata all'invettiva contro la bramosia terrena: Dante rimane sdegnato davanti alla cupidigia, alla bassezza degli interessi mondani, alla superbia dell'uomo che cerca vanamente di dominare le cose terrene o si lascia andare all'ozio e ai piaceri della carne.


Descrizione di San Francesco
 La figura di San Francesco disegnata da Dante anche con un linguaggio duro, dal carattere eroico,cavalleresco. Un San Francesco dantesco combattivo, che non ha paura di andare davanti al Papa per far riconoscere il suo ordine.La descrizione di San Francesco inizia con un’ampia descrizione geografica, che individua l’esatto luogo di nascita del santo. Dante sottolinea che Ascesi, nome antico toscano di Assisi, non è sufficiente, perché il più adeguato è Oriente, data l’equivalenza tra Francesco e il Sole, che nascendo, e quindi sorgendo ad Assisi fa di essa l’Oriente. Tutto ciò è simbolo di virtù rinnovatrice e fecondatrice. Dopo l’introduzione, le terzine, dominate da una concezione cristiana che vede il Santo di Assisi come Alter Christus, ripercorrono il gesto decisivo di Francesco: la rinuncia ai propri beni sulla piazza della cittadina umbra. Egli sostiene una dura battaglia con il padre per seguire una donna da tutti disprezzata, e che, dalla morte di Cristo, era rimasta sola e non amata: la Povertà. Di fronte alla curia vescovile, dove proprio il padre l’aveva condotto per citarlo, Francesco rinuncia non solo ai suoi beni, ma anche agli abiti che indossa. E si “sposa” con la Povertà in mistiche nozze, e la loro vita prosegue con amore sempre più intenso. L’imitatio Christi è sottolineata dal linguaggio aspro utilizzato da Dante ed è confermata dal seguito di seguaci che l’azione di San Francesco ha sollecitato, così come era stato per Cristo, dal viaggio in Terrasanta e dalle stigmate, “ultimo sigillo”. L’amore tra Francesco e la sua mistica sposa è talmente coinvolgente da generare ammirazione, e in molti li seguono, scalzandosi, Dante descrive la potenza della dedizione di Francesco e la forza del coinvolgimento del suo operato sugli altri.Muore poi sulla nuda terra, raccomandando la Povertà ai suoi seguaci ed eredi. Il quadro della morte si accende della coralità tradizionale della legenda letteraria e pittorica: un ultimo squillo, intorno al tema della fedeltà amorosa (“e comandò che l’amassero a fede”), e il transito dal grembo della Povertà, nudo sulla nuda terra. Nella quiete della contemplazione della morte, ma rotta dal transito al cielo, tornando al suo regno, lo squarcio agiografico, forse il più bello delle letterature volgari, si chiude.Francesco è dunque la proposta fatta uomo, che Dante avanza per contrastare la corruzione contemporanea, che è soprattutto corruzione della Chiesa.Francesco viene assimilato ai Serafini, angeli dell’amore e della carità, mentre Domenico richiama i Cherubini, angeli della sapienza. San Francesco viene visto come Santo ma allo stesso tempo eroe e quindi dotato di sapientia/fortitudo. Pensiamo a Francesco che per tutta la vita persegue il riconoscimento ufficiale della sua regola. San Francesco sembra il perfetto imitatore del Cristo, portatore addirittura dei segni sanguinanti della crocifissione. Ma Dante ha innovato anche qui, prendendo la distanza dalla sensibilità del suo tempo. Le stimmate sono il segno di una diversità, non di una identificazione.Francesco si porta dietro tutta la sua umanità, tutte le sue fatiche, tutte le sue delusioni, tutto il suo peregrinare. Tutta la sua fragilità. Le stimmate sono il segno estremo di tale fragilità.